Il restauratore ha per compito di rimediare, nella misura possibile, al divorzio fatale che il tempo - e più spesso l'uomo - instaura fra la materia che invecchia e la forma che vi si incarna. (Paul Philippot)
Mercoledì 15 maggio alle ore 11.00 a Palermo, presso la Sala delle Congregazione delle Missioni della Biblioteca centrale della Regione siciliana "Alberto Bombace" verrà presentata l'edizione italiana del libro di Paul Philippot "L'Istituto centrale del Restauro. La sua organizzazione e le sue posizioni riguardo ai principali problemi del restauro dei dipinti", a cura del Prof. Giuseppe Basile.
Paul Philippot nasce nel 1925 ed insegna storia dell'arte e dell'archeologia presso l'Università di Bruxelles. Nell'ambito dell'Institut Royal du Patrimoine Artistique elabora una teoria che tratta le questioni estetiche ed i problemi tecnici relativi alla conservazione dei beni culturali. Nel 1958 è nominato Direttore aggiunto del Centro internazionale di studi per la Conservazione dei beni culturali (ICCROM dal 1977) creato a Roma dall'UNESCO e ne diventa il Direttore dal 1971 al 1977. A Roma incontra Cesare Brandi e collabora con l'Istituto Centrale del Restauro (ICR) ed in particolare con Paolo e Laura Mora occupandosi della conservazione delle pitture murali.
Philippot considera l'opera d'arte come una "totalità che si realizza nella continuità della forma" per cui a partire da un frammento si può risalire all'unità dell'opera. Per tale motivo si dimostra contrario ad ogni espressione di ripristino inteso come "ripresa del processo creativo" e sostiene, di contro, il concetto di restauro come 'ipotesi critica', non espressa verbalmente ma concretizzata in atto, mirante a ristabilire una continuità formale interrotta e latente nell'opera mutila.
Il restauro consiste dunque in un'azione creativa che faciliti la lettura dell'unità dell'opera, rispettosa dell'identità della preesistenza, ma che pur sempre modifica e altera il suo aspetto: esso si propone di ricondurre ad una sintesi progettuale l'assunzione critica dei dati storici, estetici, tecnologici, scientifici emersi durante la fase conoscitiva, senza cancellare i segni che il tempo ha lasciato sulla materia.
Philippot sostiene, coerentemente con i presupposti dell'ICR, l'interdisciplinarità del restauro secondo cui le diverse figure chiamate in causa - storici dell'arte, architetti, archeologi, fisici ed esperti nei controlli ambientali, chimici, biologi, restauratori - devono collaborare ai fini del riconoscimento e della conservazione dei valori intrinseci dei beni culturali, espressi attraverso segni e dati materiali concreti.